Piazza San Babila, ma gli alberi? Questo il dilemma!
La riqualificazione di Piazza S. Babila inaugurata nel 2023 dopo i cantieri per la realizzazione della linea M4 iniziati nel 2016, ha destato non poche critiche. Una fra queste, la più comune è stata: si, ma gli alberi?
Piazza S. Babila è sicuramente una delle piazze di Milano ad aver subìto i maggiori stravolgimenti urbanistici rispetto al suo assetto originario. Inizialmente Piazza S. Babila non era altro che uno slargo che connetteva Corso di Porta Orientale (attuale Corso Venezia) con Corso San Francesco (attuale Corso Vittorio Emanuele) costituendo semplicemente il sagrato della Basilica. Già nel 1859 furono demoliti alcuni caseggiati a destra della Basilica per la costruzione delle cosiddette Case Veneziane. Nei primi anni del XX secolo fino al 1928, di conseguenza all’aumento della popolazione milanese e per specifiche esigenze architettoniche, si sentì la necessità di creare nuove strade che collegassero direttamente Piazza della Scala con l’attuale Corso Venezia. Fu così che, tra il 1927 e il 1928, nacquero Piazza Crispi (Piazza Meda) e Corso Littorio (Corso Matteotti). Tale intervento provocò sventramenti e la demolizione degli antichi caseggiati che sorgevano frontalmente alla Basilica. Fu solo nel 1931, con l’approvazione del progetto di sistemazione della piazza, che essa iniziò a conformarsi nell’assetto attuale. Già nel 1931 si era concluso il lato nord, nel 1935 cominciarono i lavori di riordino del lato ovest con la demolizione della Galleria De Cristoforis, che un tempo collegava l’attuale Corso Vittorio Emanuele con Via Montenapoleone e che sorgeva sul sedime della cinquecentesca Casa Mozzanica. Quest’ultima fu acquistata dal ricco letterario milanese Giambattista De Cristoforis, che la demolì nel 1830 per far spazio a Palazzo De Cristoforis che conteneva la Galleria omonima.
Una curiosità: della Casa Mozzanica, non tutto è andato perduto, venne infatti conservato il pregiato portale cinquecentesco, che oggi si trova presso il Palazzo Trivulzio di Milano.
Laddove sorgeva la Galleria De Cristoforis, quindi, venne innalzato l’attuale Palazzo del Toro, nei cui sotterranei vi è il Teatro Nuovo. Nel 1938 si procedette con le demolizioni delle Case Veneziane (di cui alcuni elementi architettonici furono reimpiegati nella facciata di un palazzo a Melegnano nei pressi della Chiesa di San Giovanni Battista) per completare il lato est della piazza. I bombardamenti del 1943 provocarono danni a tutta l’area e alla Basilica stessa, ma bisognerà attendere fino al 1957, con la costruzione dell’edificio, che comprende l’attuale Galleria Passarella, sul lato sud e che si innesta tra Corso Europa e Corso Vittorio Emanuele, per raggiungere quasi la conformazione attuale. Il “quasi” è d’obbligo in quanto la piazza pochi anni dopo venne sventrata dai cantieri di realizzazione della linea M1 della Metropolitana. Finiti i lavori della M1, la piazza fu nuovamente aperta al traffico veicolare. Fu solo nel 1998, con l’installazione della fontana di Luigi Caccia Dominioni, che assunse l’aspetto a noi tutti più familiare.
Nel 2023 la piazza, ancora una volta nella storia, cambia volto, ma sicuramente in meglio. La piazza ora risulta totalmente pedonale.
Si, ma gli alberi? Come nelle foto allegate, la piazza nel corso dei secoli non ha mai avuto alberature, negli anni Trenta, dinanzi alle compiante Case Veneziane, vi era un’aiuola piantumata ad erba, così come nell’assetto degli anni Cinquanta, ma di alberi, per restare in tema, nemmeno l’ombra.
E’ vero anche che i tempi sono cambiati, oggi dobbiamo interfacciarci con il surriscaldamento globale e con il sempre più ingente problema delle isole di calore nelle città. Con questi presupposti è chiaro che vi sia la necessità di piantumare alberature che apportino zone d’ombra e riducano le bolle di calore; difatti in Corso Europa, dove le infrastrutture del sottosuolo l’hanno consentito, sono stati piantumati alberi, laddove non ce ne sono mai stati in passato.
Dinanzi ad una riqualificazione di un’area così centrale e importante di Milano è ovviamente impossibile non infiammare l’opinione pubblica, da architetto so bene che ogni scelta progettuale, proprio per etimologia della parola stessa “scelta” - dal verbo latino ex-eligere, ovvero selezionare, preferire - comporta l’esclusione di un ampio spettro di possibilità progettuali. Si sarebbe potuto fare di meglio per quanto riguarda l’aspetto verde? Certamente sì, così come di peggio. Probabilmente la decisione di lasciare una parte di piazza totalmente priva di arredo urbano e di elementi a verde, potrebbe essere stata essa stessa una scelta progettuale al fine di creare uno spazio da destinare all’allestimento di installazioni per la comunità, basti pensare alla pista di pattinaggio installata in occasione delle festività natalizie.
Una cosa, però, mi sento di dirla: in mezzo a tutte queste critiche, vorrei dare voce a chi voce non ha: gli alberi. Proviamo a metterci dalla loro parte, non dobbiamo concepire gli alberi come fossero oggetti d’arredo, ma per quello che sono: esseri viventi. Gli alberi vanno piantumati con criterio, conoscenza dei loro fabbisogni e laddove vi siano le condizioni ambientali e di manutenzione necessarie alla loro sopravvivenza, affinché loro stessi possano donarci ciò di cui abbiamo bisogno. Un albero, le cui radici sono soffocate dal cemento che le surriscalda e non permette la permeabilità dell’acqua piovana, non crescerà mai al pieno delle sue potenzialità e in salute e non apporterà alcun beneficio nemmeno a noi, ammesso che sopravviva. Ciononostante non significa che sia contrario alla piantumazione nelle città, ma ritengo che bisognerebbe essere più sensibili e impare a interessarci non solamente al nostro benessere, ma anche a quello degli altri esseri viventi.
Concludo dicendo che per quanto possa essere criticata, Piazza San Babila è finalmente stata sottratta alle auto e restituita ai cittadini e che, rispetto a prima, possiamo dire di avere qualche albero in più, per la precisione 22: 11 in Largo Toscanini e 11 in Corso Europa.
Come si dice a Milano “piutost che nient, l’è mej piutost”.
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