Tutti (bene o male) conosciamo Michelangelo Buonarroti, tra gli artisti più “famosi” del nostro Rinascimento.
Era il 1552 quando il Maestro iniziò ad accusare vari malori, in uno stato di salute molto precario, ma ciononostante ha lavorato fino alla fine dei suoi giorni, proprio dedicando il tempo rimasto a questa scultura, che con molte probabilità secondo gli studiosi come Vasari, sarebbe servita per il suo sepolcro!
Nel 1744 la Pietà fu acquistata dai Marchesi Rondanini, (da qui il nome Pietà Rondanini) ricca famiglia romagnola e mecenati d’arte ,che la collocarono in un palazzo di proprietà a Roma.
Due secoli dopo ,nel 1952, il Comune di Milano dopo varie peripezie riuscì ad acquistarla dai Rondanini, tramite una colletta proprio fatta dai milanesi, che la vollero a tutti i costi.
Il marmo in questione, venne accuratamente scelto da Michelangelo nelle Alpi Apuane: rappresenta la fusione del corpo di Cristo morto nel corpo della Madre, come se volesse farlo rivivere attraverso le sue carni.
La particolarità è che siamo di fronte ad un lavoro incompiuto. Una delle questioni più difficili di Michelangelo è spesso proprio il tema del “non finito”. Il numero di sculture lasciate incompiute dall’artista infatti è talmente alto che gli storici hanno ipotizzato potesse essere proprio una sua volontà e una certa compiacenza per l’incompletezza! Troppe le sue statue non finite, forse non era un caso.
Siamo quindi di fronte ad un capolavoro che ci fa porre una riflessione: il suo lavoro si è interrotto perché per lui l’espressività era già perfettamente così compiuta e non era più necessario scolpire perché tutto era già visivamente leggibile? Per alcuni è incompiuta a causa della sua morte, per altri storici invece è proprio il suo simbolo di libertà espressiva e del tormento spirituale, al di fuori delle regole della bellezza classica del tempo, come quasi a voler trasgredire, mostrando quella che era la “sua visione” come se quella Pietà fosse un abbozzo di “visione”, un “vedo non vedo”.
Ad ogni modo ci lavorò 12 anni, e fu proprio la sua ultima opera prima di morire.
Da allora è esposta nel nostro Castello, dal 2015 proprio in un luogo tutto per se, l’Ospedale Spagnolo.
Nel 2012 lo studio BBPR a cui fu commissionato il compito di progettare e dedicarle appunto, uno spazio intimo e separato dal resto, si rese conto dei diversi traumi e micro fratture avvenute già nei trasporti precedenti.
La superficie michelangiolesca è estremamente delicata, e al problema del sollevamento, protezione e trasporto si aggiungeva la grossa preoccupazione derivante dal nuovo ambiente: sotto l’Ospedale Spagnolo infatti passano 2 linee della metro, bisognava quindi progettare un sistema che isolasse il capolavoro dalle vibrazioni del terreno (e dagli eventi sismici).
Si arrivò quindi ad un sistema ipertecnologico pionieristico, ideato dalla società giapponese Myamamoto con il Politecnico di Milano, che permette in caso di vibrazioni, l’oscillazione dell’intera pavimentazione sotto, senza che la statua subisca danni muovendosi: in sostanza la scultura oscilla assieme alle vibrazioni senza tenerla ferma rischiando di spaccarsi.
Il vecchio basamento fu staccato , restaurato ed è esposto anch’esso nel medesimo spazio.
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